Sabrina Santamaria

 

Sfogliare le pagine dei sogni è accorgersi di esser vivi
allora sognare è vivere cioè abbracciar l’infinito.

Immergermi fra le onde sinuose della letteratura mi porta all’apice sublime del mio sentire. Dare spazio agli autori attraverso i miei articoli mi conduce a scrutare orizzonti ove il banale occhio umano delinea solo confini. I libri aprono le porte alle particelle invisibili della fantasia e della creatività…

Sabrina Santamaria

Bruno Mohorovich

"Tempo al tempo" di Bruno Mohorovich

(Intervista pubblicata nella Rivista Internazionale "Le Muse"-Direttrice Maria Teresa Liuzzo-Vicedirettore Davide Borruto)

Bruno MOHOROVICH

 Nato a Buenos Ayres il 3/3/1953, di origine istriana.  Laureato in Sociologia e Lettere.  Critico cinematografico e letterario, ha collaborato con radio e stampa. Ha curato eventi di scrittura e pittura organizzando alcune collettive con artisti marchigiani ed umbri. Cura eventi letterari, presentazioni di poeti e scrittori. 
Ha pubblicato per le Edizioni AIART “Cinema in…”, 3 voll. e per Era Nuova  “Nuovo Cinema…scuola”. Per i tipi della Bertoni Editore, i libri di poesie “Storia d’amore – una fantasia”, e “Tempo al tempo” ed ha curato le raccolte antologiche “Marche – omaggio in versi” e “Napoli – omaggio in versi”.
Pubblicazioni le ha dedicate alla città di Perugia “La città tra desiderio e utopia” e a Pesaro con la raccolta di scritti “Atarcont – impressioni pesaresi”. Attualmente è curatore editoriale di collane di poesie per la Bertoni Editore.
 
La poetica catarsi temporale 
“Tempo al tempo”  è una raccolta poetica che si snoda tra i fili conduttori di una recherche du temps perdu proustiana in cui il tempo dell’anima supera ogni confine e ogni verso incide il pentagramma emotivo del nostro poeta. L’afflato  si riverbera nell’immenso abbraccio esistentivo di Bruno Mohorovich il quale si innamora dei suoi momenti nostalgici come se fossero istanti lieti o colmi  di gaiezza, infatti egli cura le ferite dell’animo suo servendosi di due farmaci: il tempo e poiesi. Il nostro autore, però, trasmuta l’ordine logico e cronologico degli eventi, tanto è vero che il suo tempo non è scandito dagli orologi e nemmeno dalle clessidre, ma dai battiti pulsanti che gli strozzano il fiato tuttavia il suo flusso di coscienza non annichilisce il suo Io né lo innalza; la poiesi catartica di Bruno Mohorovich gli conferisce pariteticità  per ricucire i suoi laceranti drammi e tormenti  e lo ricolma di responsabilità e umanità per cogliere le angosce della complessa mimesi del volto dell’altro, cioè di quell’Altro sul quale costruì la sua filosofia E. Lèvinas.
 (a cura di Sabrina Santamaria)
 
Intervista a Bruno Mohorovich
 
•La raccolta “Tempo al tempo” racchiude innumerevoli significati poetici, mi chiedevo se ci fosse anche uno spunto eracliteo, esistenzialista o bergsoniano? 
 Quando ho pensato di scrivere “Tempo al tempo”, ho solo voluto dare voce ad una mia esigenza personale, e non mi sono posto alcun intento filosofico. E’ certo che ognuno di noi quando si confronta con il proprio io e dà una lettura di sé e del mondo che lo circonda inevitabilmente “formuli” un pensiero più o meno filosofico. Pe rispondere alla sua domanda, indubbio stimolante, ho cercato delle possibili risposte. Eraclito e il suo “Panta rei” fanno in qualche modo della nostra esistenza; tra il serio ed il faceto è una formula che abbiamo spesso ripetuto ed anche io, nel corso del tempo non mi sono sottratto, forse in maniera spicciola, magari pensando di superare gli ostacoli che la vita ti pone; quasi fosse una forma di incoraggiamento. Esistenzialista? Ho amato, e amo, molto Sartre; da ragazzo uno dei drammi che mi ha coinvolto maggiormente è stato “I sequestrati di Altona”. Se esistenzialista vuol dire che una volta gettato nella vita sono stato responsabile di tutto quello che ho fatto, scegliendo incondizionatamente, progettando di essere, allora la mia risposta è sì, sono esistenzialista; ne potrei esserlo altrimenti. Relativamente al tempo il titolo della silloge nasce da una citazione cinematografica – il film è “Anonimo Veneziano” -; era giunto semplicemente il momento di affrontare un problema che era risolto certamente da un punto di vista relazionale ma che non soddisfaceva me: ho deciso di confrontarmi con i fantasmi del mio passato, un passato scomodo, raccontandomi e svelandomi senza falsi pudori. Il “tempo” di cui parlo è quello che scorre nella nostra coscienza.
•Ti affascina la corsa della tartaruga citata da Zenone? E gli acusmatici di Pitagora? 
Mi sento molto più vicino alla seconda. La percezione uditiva è per me fondamentale. Adoro vivere nel silenzio, nel suo rumore e cogliere in esso tutte quelle sollecitazioni che mi porta. E’ la sua voce che mi permette di scrivere e tradurre in parole/ immagini sensazioni e sentimenti che prendono vita nella mia mente. Un ruolo fondamentale lo gioca anche la musica. Sono un appassionato di musica orchestrale (Last, Rieu, Mantovani…): swing, pop, arie d’opera, ouverture… Con il silenzio la musica concorre a visualizzare i miei stati d’animo.
•Come percepisci la tua linea spazio-temporale? Senti fluire fra le arterie gli spasimi della frenesia immagazzinata nella memoria a lungo termine? 
 Devo dire ahimè, è più il tempo che ho vissuto di quello che mi rimane da vivere, per cui la percezione della mia linea spazio-temporale si lega più al passato che non al futuro. I ricordi sono un bell’antidoto per continuare a vivere; l’idea della morte è sempre viva in me. Ho paura di morire, penso come molti; non accetto l’idea (forse perché vivo uno stato di bene essere) che tutto debba finire e la mia vita si possa spezzare.  Ho già accennato prima; ho una buona memoria e non so dire se questo sia positivo o negativo; naturalmente mi riferisco alla memoria della vita e dei suoi accadimenti che finiscono per divenire ricordo. La memoria del ricordo riaffiora come un’immagine del passato e contribuisce ad orientare il presente; se io oggi sono quello che sono è proprio perché ho agito in base alle esperienze passate, meglio, agli errori compiuti nel passato che mi hanno permesso di migliorare. Ed oggi, pur non negando niente di quello che è stato – rammaricarmi sì, del tempo perduto o consumato malamente – vivo nel “hic et nunc”. Non è una contraddizione; è solo una serena presa di coscienza, fermo restando che la memoria dei miei ricordi mi accompagnerà sempre e sarà…fonte di ispirazione. 
Tempo al tempo
"Tempo al tempo" di Bruno Mohorovich
 
• Il titolo “Tempo al tempo” fa trasparire le tue intenzioni di saper attendere i momenti opportuni affinché possano crescere  le migliori piante dopo aver seminato con fatica nei nostri vissuti? Cioè quanto l’attesa può essere fruttuosa più del risultato?
“Tempo al tempo” ha avuto una maturazione lenta ma è stato scritto in pochi giorni. Relativamente ai temi che affronto con le mie poesie, sentivo che dentro di me qualcosa non era compiuto, che dovevo in qualche modo dare sfogo, non ad un mal – essere, ma a qualcosa che sentivo come irrisolto, soprattutto per me. E’ stata una sera – io scrivo soprattutto la notte – che mi son trovato a buttare giù un verso che mi aveva attraversato la mente. E da lì è partito tutto. Non è stata necessariamente la prima poesia che apre la raccolta ma è stata certamente quella a dare il là, a “sturare” la mia anima. Per quanto riguarda il titolo, vi ho già accennato. “Anonimo Veneziano” tratto dal romanzo di Giuseppe Berto, è un film che è entrato a far parte del mio DNA unitamente ad un altro grande film di Zurlini “La prima notte di quiete”. I due personaggi in qualche modo mi assomigliano: artista/musicista il primo, poeta/professore il secondo.  “Tempo al tempo” è la battuta che il musicista veneziano dà alla moglie quando questa vuol sapere perché lui l’avesse chiamata. Ecco il senso del titolo della mia silloge: viene il momento buono in cui si può rivelare il tutto senza timori o falsi pudori. Così è stato per me; era giunta l’ora che mi scoprissi, in particolare a me stesso.
• È una  scelta stilistica il fil Rouge che caratterizza le tue raccolte poetiche “Una storia d’amore” e “Tempo al tempo”? Oppure si tratta di un tuo verseggiare spontaneo tra le rime?  Secondo te le dimensioni temporali sono aritmetiche oppure l’essere umano viaggia mentalmente nel filo invisibile di queste istanze temporali?
Sì, è una scelta precisa. Quando ho incominciato  “Storia d’amore – una fantasia”, scrivevo delle poesie “a briglia sciolta”, inseguendo lo stato d’animo del momento. E’ stato ad un certo punto che mi sono reso conto che questa scrittura aveva bisogno di un ordine: Stavo raccontando una storia ed era giusto darle un senso logico. Così sono nati i tre atti: Inizio, Insieme e Fine, completati da un prologo ed un epilogo in prosa. Analogo discorso per “Tempo al tempo”; in questo caso era una esigenza vera e propria la narrazione di un vissuto che muoveva dal disagio iniziale, fino alla conclamazione del problema per concludersi con la redenzione e la rinascita. Anche la mia prossima raccolta di poesie di imminente pubblicazione “Parlerò di te”, segue lo stesso criterio.  Quando scrivo poesie mi piace dare un senso di lettura, in fondo racconto delle storie che potrebbero essere dei romanzi ed è una forma di rispetto mia verso il lettore dargli la possibilità di seguirne la trama.  Non ho mai amato quelle “accozzaglie poetiche” dove si trova di tutto e si spazia su tutto. Personalmente faccio fatica quando leggo a cogliere l’anima di chi scrive; e lo raccomando anche ai poeti delle mie collane: cercate di creare un “fil rouge” nella vostra narrazione, così da essere leggibili e fruibili. La poesia più di ogni altra forma letteraria rivela l’anima di chi scrive; l’autore si mette letteralmente a nudo senza remore e pudore; il poeta non si nasconde, non lo può fare. Se lo fa è artificioso. Chi legge poesia deve rimanere folgorato da quello che è scritto. La poesia deve diventare di chi la legge, deve essere sentita propria. Per questo ho delle forti remore anche nei confronti di chi ricerca una terminologia che io definisco “da vocabolario”, accademica. Sono negato in matematica ed alle conseguenti congetture matematiche. Preferisco seguire le istanze che mi detta il tempo. In quanto tale è imprevedibile; regala sensazioni, emozioni e…follia quando meno te lo aspetti. Ne vivo il disagio ed i sapori che mi regala, siano essi aspri o dolci. E questi sapori cerco di renderli vivi attraverso la parola ed il verso.
•Se volessi consigliare a un giovane come impiegare il suo tempo  quale via esistenziale suggeriresti? 
Non semplice la risposta. La mia vita professionale mi ha portato, in quanto docente, a vivere in mezzo ai giovani. Ho vissuto con loro per 40 anni, dalla scuola primaria a quella superiore. Innegabile che i tempi siano cambiati, che le generazioni non si assomiglino l’una all’altra: c’è un abisso. Eppure questi giovani hanno dei valori, sono curiosi e stimolanti. Bisogna sapere entrare in loro, avvolgerli e loro si faranno avvolgere e ti…travolgeranno. Ho portato nelle scuole dove ho insegnato il teatro ed il cinema; avrei tanti esempi ed episodi da raccontare; dico solo che ancora a oggi, a distanza di anni, ci sono alunni e studenti che mi ringraziano e ricordano le mie lezioni. Cosa potrei dire ai giovani? Di essere curiosi. Amo una poesia di Hikmet – ormai un classico – ma vera “Il più bello dei mari è quello che non navigammo…”, con tutto quello che segue. La curiosità, la ricerca, non accontentarsi mai né di quello che gli dicono gli altri né di loro stessi: Ed hanno uno strumento che niente e nulla potrà mai essere distrutto: la libertà di pensare, di scegliere e fare ed essere Cultura.
•La percezione del tempo, come noi sappiamo, è influenzata dagli usi e costumi dei diversi popoli e culture. Secondo te quali sono i fattori culturali predominanti che contestualizzano il tempo?
   Stiamo vivendo tempi difficili; quello che sembrava se non cancellato almeno rimosso, si è fatto prepotentemente incalzante. Stiamo perdendo il senso della misura e negando la nostra intelligenza- se mai siamo stati intelligenti -. Arroganza, prepotenza, odio, ignoranza, intolleranza hanno scalzato i veri valori che dovrebbero caratterizzare ogni essere umano. Oggi chi è buono e gentile sembra fesso, il gesto di generosità o la buona azione vengono visti come qualcosa di alieno. Non voglio essere per forza di cose “buonista” (fra l’altro la parola non mi piace), ma mi fa specie che in questi decenni del nuovo secolo, si debba sentir parlare di “educazione al sentimento”, di sentire la necessità di fare “giornate della gentilezza” o simili… Mi fa paura la mancanza di personalità; siamo tutti omologati e globalizzati; non c’è più spazio per l’originalità del proprio pensiero: bisogna provocare, forse perché ci è rimasto poco da dire…o c’è ancora tanto da dire ma si preferisce scegliere la via più facile, quella del non – pensiero. Scrivo poesie, frequento gente che scrive, artisti che dipingono e scolpiscono; queste persone sono espressione viva e vitale di fattori culturali, discutibili a volte, ma ci sono, si esprimono cercano di dare un senso al tempo che vivono ricercando ognuno col proprio linguaggio un elemento culturale che si sta perdendo, o si è già perduto: la Bellezza! “Chiudere le finestre alla bellezza è contro la ragione, e distrugge il vero significato della vita.” Lo ha detto Debussy.
(Intervista rilasciata dal poeta, scrittore e curatore editoriale Bruno Mohorovich a Sabrina Santamaria)
 

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