Sabrina Santamaria

 

Sfogliare le pagine dei sogni è accorgersi di esser vivi
allora sognare è vivere cioè abbracciar l’infinito.

Immergermi fra le onde sinuose della letteratura mi porta all’apice sublime del mio sentire. Dare spazio agli autori attraverso i miei articoli mi conduce a scrutare orizzonti ove il banale occhio umano delinea solo confini. I libri aprono le porte alle particelle invisibili della fantasia e della creatività…

Sabrina Santamaria

"...I am talking now!" di Maria Teresa Liuzzo

Maria Teresa Liuzzo

 

"...E ADESSO PARLO!"( A.G.A.R EDITRICE) DI MARIA TERESA LIUZZO

L'eccellenza è stata premiata

 Il capolavoro "...E adesso parlo!" della Dott.essa Maria Teresa Liuzzo ha appassionato  i lettori di tutto il mondo ed è stato  tradotto e pubblicato in lingua inglese. 

La traduzione è stata curata dalla Professoressa Sara Russell, figlia dell'illustre Peter Russell, e dalla Professoressa Giulia Calfapietro.
 
 A quasi un anno dalla mia recensione che in questa sede ho l'onore di riportare, sono lieta di segnalarvi la tanto attesa traduzione di "...E adesso parlo!" in "...I'm talking now!" della nostra Direttrice la quale da anni lavora con dedizione, passione e abnegazione per proporre la cultura internazionale attraverso il Bimestrale Le Muse-Rivista Internazionale che promuove l'arte a tutto tondo. 
"...I am talking now!" di Maria Teresa Liuzzo
 
RECENSIONE:
Il sangue di Caino grida rabbia e furore in un’ecatombe  macchiata da un’eutanasia tritata che si mostra all’anima  innocente  di Mary e quest’ultima viene portata al mattatoio come carne da macello. Il corpo di bimba legato al muro con le spalle verso la luce(simile al “mito della caverna” di Platone) è barcamenato fra i gioghi familiari che pesano tonnellate di sadismo e di gratuito cinismo. Spirano  fra i sussurri delle pagine i singhiozzi soffocati della pargoletta Mary, la candida martire del romanzo “…E adesso parlo!”. I dolori fisici e morali della nostra protagonista trasmettono al lettore  un imperativo e un assertivo pathos infatti nel momento in cui ci accostiamo al romanzo di Maria Teresa Liuzzo sentiamo un dovere morale che si concretizza nella completa presa di coscienza delle gravi condizioni sociali e familiari di Mary. I capitoli dell’opera fungono da monito perentorio a difendere ad ogni costo la verità anche quando questa si palesa come rude da accettare. Il padre di Mary, uomo spietato e senza scrupoli, mortifica con ogni tipo di violenza la nostra protagonista la quale custodisce come stigmate le  sanguinanti cicatrici nel suo corpo e nel suo cuore; la madre, senza pietà e senza ripensamenti, svilisce la piccola al patibolo come vittima sacrificale di un reo antefatto di cui il nostro angelo non ha colpe, infatti Mary è reificata e ridotta fra i ranghi di un banale oggetto fra gli oggetti come se non avesse emozioni e sentimenti, primogenita di una famiglia numerosa sarà costretta(anche a schiaffi, pugni e vergate) a badare alla pulizia della casa e ai suoi fratellini neonati tanto è vero che  l’idea secondo la quale una bimba di cinque anni possa fare il bagnetto a un neonato è semplicemente orribile e inaccettabile. A questo contesto cataclismatico si aggiungono l’insensibilità dei nonni paterni e la perversione sessuale di uno degli zii paterni che ha palpato il corpo di Mary quando aveva nove anni e di Fiamma(sorella della nostra protagonista) quando ne aveva sette, tuttavia una cappa di omertà ottunde non solo la famiglia della nostra protagonista, ma anche quasi tutti gli abitanti del paesino dell’Italia meridionale dove è ambientata la vicenda. Quasi ogni personaggio della storia è lontano anni luce dai gridi, a volte muti a volte assordanti,  della nostra Mary benché quest’ultima sia un essere innocente e senza macchia nessuno difende la sua causa lasciandola sola e spoglia di speranza; ella appare condannata a  indossare il saio della mestizia per espiare inganni altrui. Maria Teresa Liuzzo tesse la trama di  un palcoscenico dell’assurdo in cui i diritti dell’infanzia e delle donne sembrano non aver ragione di esistere, sulla stessa stregua di  un inutile orpello che impedisce  all’economia di quel lager,  del quale tutti fingevano di non esserne a conoscenza per i propri torna conti personali. Combattere contro il mostro-padre( assecondato dalla madre) diviene per la nostra Mary la croce gigantesca che lei porta sulle spalle verso un sentiero di immotivata redenzione giacché l’unica sua  responsabilità è quella, purtroppo, di essere venuta al mondo. Le vergate del padre sono come dardi infuocati nel corpicino della pargoletta la quale, spesso, abdica a se stessa per proteggere  i suoi fratellini e le sue sorelline, fra l’altro sacrificio, alla fine della vicenda, non ricambiato da costoro che continuano a percepire la nostra protagonista come un’intrusa davanti alla quale recitare nel teatro delle “pupare”(marionette)  nei momenti dei bisogni economici ai fini di sfruttarla al proprio tornaconto; la sorella Fiamma si rivelerà una delle più perfide e invidiose sprovvista di qualsivoglia ombra di misericordia verso la sorella maggiore. Come si può amare in queste fiamme che inaridiscono e corrodono fino al midollo la vita di Mary? Come non  resistere alla tentazione di non restituire il male al proprio male? In questo secco limbo dove possiamo scrutare la parvenza del bene? Qual è la fonte in cui Mary nutre e abbevera la sua esistenza disidrata e arsa al gelo dell’infamia? La nostra protagonista fa germogliare dentro di sé  la fede in Dio come un fiore di loto che è  nato nella melma, nel fango e nel lerciume morale, infatti il coraggio che le dà linfa vitale è animato dal sacrificio di Cristo che si è sacrificato per i peccati dell’intera umanità, sulle orme tracciate da Gesù(il rabbì-maestro) Mary fortifica i suoi meandri stracciati nella sua mansuetudine umiliata identificandosi nel redento  travaglio patito dal Figliol di Dio ella abbraccia, con innegabile sofferenza, il suo martirio; gli unici amori che la consolano sono il Signore e Raf(il Daimon), quest’ultimo un angelo custode, un amico immaginario, un cherubino dai capelli biondi che le scalda il cuore, questi è anche metafora dell’arte e della poesia che si materializza nelle lettere della nostra; proprio dell’oscurità dell’oblio in cui è emarginata dal mondo(durante il sequestro di persona a sedici anni) Raf la prende per mano e le mostra un regno sublime, alto, un cielo  oltre il cementificato muro che la  segrega nell’afflizione di ogni forma di sopraffazione.   Solo grazie ai prati verdeggianti e alle cascate di acqua limpida che il Daimon   mostra a Mary che quest’ultima si innamora del suo esistere come essere innestato al ramo della purezza  nella sua vita activa harendtiana. Davanti al volto dell’altro, quell’altro che martirizza e sminuisce Mary sa bene che grava dentro di sé il peso della sua responsabilità, da questo punto di vista la sua condizione è in sintonia con l’agire ebraico del filosofo Lèvinas, il quale non trova alcuna giustificazione all’Io egoistico dell’uomo a prescindere dal pessimo agire  umano; alle volte l’altruismo di Mary verso i suoi familiari appare ingiustificato, ma solo alla luce di questa interpretazione giudaico-cristiana  la mitezza della nostra trova la sua ovvia collocazione. “…E adesso parlo!” di Maria Teresa Liuzzo è un impegno letterario di grande spessore che veicola la grande lezione del perdono, ciò non significa insabbiare  i torti subiti, perché il perdono della nostra autrice è inteso come insegnamento cristiano e ricoeuriano  poiché nel bagaglio della memoria ogni essere umano ha il diritto e il dovere di  denunciare le ingiustizie umane per evitare  i supplizi inflitti ad anime innocenti  quindi nell’onesto riconoscimento  della bassezza morale del peccato commesso(corrispondente alla verità oggettiva dei fatti) e alla rielaborazione   dello stesso, al pari di un’ azione ascetica dell’estasi mistica; l’oblio come tabula rasa non innalza l’uomo all’Essere supremo.  Alberga in tutto il romanzo la ricerca socratica dell’aletheìa(dal greco=verità) e da questa incessante maturazione dei segreti  nascosti ognuno di noi può pur  percorrere la valle di Baca provando, nonostante tutto, una pace spirituale profonda. Dulcis in fundo la nostra protagonista risorge dalle sue stesse ceneri perché il riscatto invocato non tarda a materializzarsi difatti allo stesso modo di una crisalide che si trasforma in farfalla adora svolazzare nelle aurore plumbee della sua amata poesia. Alcuni spiragli luminosi si affacciano nell’oscura prigione? Forse sì, perché la chiave interpretativa del lieto fine dipende dallo sguardo critico di ogni lettore che sarà inorridito da questa macabra storia, provando, però, stima e compassione per l’indomabile protagonista la quale alla fine trionferà annegando ogni malvagità nel battesimo dell’amore oltre ogni logico confine.

Sabrina Santamaria

 
 

Tags: Romanzo

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