Sabrina Santamaria

 

Sfogliare le pagine dei sogni è accorgersi di esser vivi
allora sognare è vivere cioè abbracciar l’infinito.

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"L'alcova tra le pietre"(Vitale Edizioni, 2019) di Aldo Sisto

Autore: Aldo Sisto
Titolo: L'alcova tra le pietre
Casa editrice: Vitale Edizioni
(Recensione edita nel Bimestrale internazionale "Le Muse"-numero maggio/giugno 2021- Direttrice Maria Teresa Liuzzo- Vicedirettore Davide Borruto)
(a cura di Sabrina Santamaria)
La “collana di perle” bergsoniana non si è incastonata nella mente del nostro poeta Aldo Sisto in quanto secondo il succitato filosofo un girocollo di perle uguali rappresenterebbe in senso metaforico  il tempo cronologico scandito solo dagli orologi. Gli attimi eterni rimembrano la beltà di ricordi presenti nelle espressioni del poeta e nella sua memoria riaffiorano vestendo l’effige di una sacralità empirea innanzi, anche, allo sguardo investigativo dei lettori. Il poeta Aldo Sisto percepisce in fondo all’animo suo i “Tintinni a invisibili  porte che forse  non s’aprono più?”( poesia  “L’assiuolo” di Giovanni Pascoli), forse il verso onomatopeico del “chiù” pascoliano riemerge e rivive nel suo nostalgico tormento? Nella raccolta poetica “L’alcova tra le pietre”(Vitale Edizioni,2019) non appaiono i versi dell’assiuolo, ma, sicuramente, è tangibile un richiamo ad alcuni aspetti del decadentismo italiano soprattutto per ciò che concerne la caducità e il simbolismo  pascoliani. Il simbolismo trae il suo ordito poetico dalle similitudini floreali e con la fauna, elementi intellegibili che ispirano   l’autore Aldo Sisto a forgiare una trasparente metafisica   accarezzata dai sensi. Le “corrispondenze con la natura” baudelairiane si riscontrano pienamente nella poetica malinconica del nostro Aldo Sisto; già il titolo “L’alcova tra le pietre”  cita un minerale ossia la pietra tuttavia essa  è un elemento della natura che si trova per terra e non mostra in sé e per sé né grazia né maestosità allora ci verrebbe spontaneo chiederci secondo quale espediente letterario la pietra potrebbe essere soggetto e oggetto di ispirazione? In questo breve viaggio dentro l’itinerario dell’anima sua la pietra ha una consistenza dura, non è duttile dunque permane nel tempo  costituendo una similitudine con i sentimenti del poeta. Le pietre  si trovano per terra, nella sabbia o fra i nostri piedi perciò non esprimono nobiltà e basandosi su questa chiave di lettura  vi sono analogie con “Myricae”, una delle principali opere pascoliane. Le tamerici, come ci diede a intendere  uno dei due grandi decadentisti italiani, sono piante basse perciò  i versi pascoliani ebbero come essenza le piccole cose oggetto di meraviglia  cosicché, pure,  le pietre  che circondano l’alcova sistiana  di  questi componimenti maturi  conducono i lettori ai reconditi anfratti ancorati a una  pleonastica storia  di momenti vissuti. L’alcova è la metafora dell’intimità profonda quindi di un amore viscerale e accostarla alle pietre(che ci suggeriscono l’dea di scomodità) potrebbe risultare ossimorico tuttavia sta a indicare i sentimenti che resistono perfino alle difficoltà che la vita ci presenta e racchiude l’unione imprescindibile di un amore che esiste e si nutre della durezza dei tempi rei oppure di una memento amorosa nascente tra sassi e  rovi spinosi: “T’amai perdutamente t’amai i baci sciolti nella tua saliva in quell’alcova tra le pietre.(…) Cessa il miracolo e l’alcova tra le pietre resta lì nello squallor dei sassi percossi ancora dal vento”.( L’alcova tra le pietre pag 4). Alcuni versi si avvicinano ai canti leopardiani infatti l’autore esprime il suo rammarico per le illusioni che affollano i pensieri e la sorte arcigna relega l’uomo a un mesto vivere(per Leopardi era la natura matrigna)  la  ricerca di significato spicca fra i vari enjambement,  nei testi la ragione è l’architrave dove si reggono le sue riflessioni: “ Ahi facile felicità che non rendi felice, illudi e non paghi. Odesi l’uomo urlare di gioia. Odesi l’uomo urlar di dolore. La gioia fu sogno, il dolore fu realtà.” (Quale felicità, pag 6)
Sabrina Santamaria
 

"Il cammino dell'amore"(Guida Editore, 2019) di Francesco Terrone

Autore: Francesco Terrone
Titolo: Il cammino dell'amore
Casa editrice: Guida Editore

 (Recensione edita nel Bimestrale Le Muse numero Marzo/Aprile 2021- Direttrice Maria Teresa Liuzzo-Vicedirettore Davide Borruto)

(a cura di Sabrina Santamaria)
Le emozioni non le possiamo trasfigurare eternamente e nemmeno le possiamo celare, a maggior ragione quando ci traviamo dinnanzi a un genere letterario come la poesia,  il romanticismo diviene  protagonista dei versi o, secondo le circostanze, è  il  testimone privilegiato di odi e canti. Il poeta Francesco Terrone ricalca le orme dell’immensità dell’amore in modo genuino e spontaneo, ma con una forte carica espressiva. Il tempo perduto, tipicamente proustiano, è ricercato, quasi bramato dal nostro autore e  la raccolta poetica Il cammino dell’amore(Guida Editori,2019) carezza lievemente la scia di alcuni rimpianti. Egli non si arrende di fronte a un amore ostico o scostante perché il sentimento implica il patimento  tanto è vero che  se a volte nell’uomo contemporaneo  prevale un certo lassismo o laissez faire che ha intaccato anche la dimensione emotiva, bisogna ammettere che ciò  accade  per il timore di scontrarsi contro il nocciolo duro della sofferenza che perfora il cuore e l’anima. Alcuni componimenti sono ermetici e rimangono impressi nella mente dei lettori in quanto racchiudono iperbolici versi: “Prima mi hai aperto il cuore, poi l’hai cucito con il filo spinato.”(poesia Cuore, pag 69).  L’espediente letterario più adoperato dal nostro poeta Francesco Terrone consiste nell’uso delle seguenti  figure retoriche  del significato: l’iperbole, la metafora, la similitudine, la sinestesia e la metonimia.  L’apertura mentale consente all’autore di creare un contatto con l’immensità e  l’ imponderabilità, infatti quest’uomo innamorato ansima in una corsa a ostacoli per stringere tra le mani quel fatidico otto al contrario al quale ciascun essere umano a suo modo ambisce. D’altro canto la figura  della “fanciulla dalla chioma al vento”( con questo epiteto annovera la donna amata nella poesia dal titolo La mia pelle, pag 55) è la musa ispiratrice di questa commovente raccolta poetica in guisa dell’amore che non riguarda solamente un’effimera  scintilla di un sentimento che nasce a prima vista, ragion per cui il legame amoroso messo a nudo dal poeta ha una radice inestirpabile che congiunge la mente, il cuore e l’anima. Lo stile poetico di Francesco Terrone non segue una metrica, la libertà del suo sentire rispecchia la scelta del verso libero senza rime, le anafore sono rafforzative e concorrono a designare l’intensità dei suoi pensieri  scevri da ogni possibile parvenza razionale. Il paragone perenne con il mare, il sole, la luna e il cielo dona profondità e, allo stesso tempo, è propedeutico a raffigurare gli stati d’animo e le emozioni affinché possano avere un volto. La poetica in  Il cammino dell’amore è al confine fra i sonetti petrarcheschi in cui il sommo poeta girovagava “solo et pensoso”(vedi il Canzoniere di Petrarca)  nei meandri più fitti di un amore non corrisposto e il dramma   La vita  è sogno di   Pedro Calderón de la Barca ove il protagonista Sigismondo sposa Stella seppur è innamorato di Rosaura decide di vivere in una sfera intrisa fra  sogno e realtà. Il nostro Francesco Terrone è un sognatore o un moderno Icaro (vedi appunto pag 74) che non smette di volare ed egli rischia in ogni istante di rimanere ferito e deluso nonostante tutto non si arrende e non si dà per vinto come un indomabile milite affronta la battaglia dell’amore riconfermando i versi “perché forte come la morte  è l’amore” del testo biblico  Cantico dei cantici. Il cammino sentimentale dell’autore  è virtuoso  e  attutisce  ogni imperfezione o sbavatura perciò è il percorso amoroso stesso che si fregia dell’effigie di  un attuale  capolavoro.  
Sabrina Santamaria
 

"Paesaggi dell'anima"(Edizioni il Fiorino, 2014) di Teresina Giuliana Pavan

Autore: Teresina Giuliana Pavan
Titolo: Paesaggi dell'anima
Casa editrice: Edizioni il Fiorino

(Recensione edita nel Bimestrale  "Le Muse"-Direttrice Maria Teresa Liuzzo- Vicedirettore Davide Borruto)

(a cura di Sabrina Santamaria)
Incidere dei versi su un foglio bianco, in tantissime circostanze,  può giovare  a  rielaborare e  metabolizzare la sofferenza che si racchiude in ognuno di noi. I patimenti  sono un triste corollario, ma mediante il lume e la creatività, elementi che contraddistinguono gli artisti, sono sublimati e si trasformano in un forgiato  pathos. L’anima dei poeti brama un catartico verseggiare che accarezza i candidi picchi esistenziali, in cui attimi che sanno di eternità scalano la vetta di una travagliata pace: “(…) Paesaggi dell’anima in cui ritrovo il destarsi  del sorriso spento, luoghi della memoria nell’incanto delicato di cromatiche variazioni di vita.”(poesia Ritratto del mio paese, pag 7). 
La poetessa  Teresina Giuliana Pavan in “Paesaggi dell’anima”(Edizioni Il Fiorino, 2014) mette a nudo  la  sua vocazione di ricucire i sottili fili della sua memoria infantile e  adolescenziale mediante il suo ritornar alla memoria il telaio esistenziale ripara l’ordito che sembra sgualcito da un’epoca moderna che entra in collisione con il suo ritmo naturale ben lungi dall’ubiquità odierna. Alcuni paesaggi della sua terra natia Bosaro, in provincia di Rovigo, coadiuvano a introdurre il lettore nel mondo interiore della poetessa. L’empatia effonde un melodioso afflato tanto è vero che i lettori si immedesimeranno nei racconti in versi  che rendono sommesso e solenne il suo stile poetico infatti in  questa silloge  il vessillo e le vestigia del passato ammantano di una rinnovata autenticità anche il presente: “(…) nel riflusso del tempo come rugiada al prato, come seme al campo torna quella strana magia che la mia bocca ha bevuto e a te mi ha legata per l’eternità.”( poesia A Bosaro, pag 8)
In “Paesaggi dell’anima” avvertiamo un profondo panenteismo e  la nostra autrice Teresina Giuliana Pavan  rivendica e trascende la metafisica stessa e in  alcuni rilievi paesaggistici ciò che possiamo dedurre è l’immanenza di Dio Padre che è  nella natura da Egli stesso  creata e  la trascende. La concezione della nostra autrice è matura tuttavia non risente mai di senilità e non è arcaica o obsoleta, ma si rigenera secondo la reminiscenza platonica di un “panta rei” eracliteo talché il suo “tornar ai sempiterni calli” petrarchesco ha l’effigie di un’evoluzione, i paesaggi di Rovigo non rimangono tali e quali nei  suoi componimenti  dunque addentrandoci nei mitici accadimenti noteremo dei mutamenti in stretta relazione al sentire della poetessa. Una velata nostalgia è la corolla che impreziosisce l’arcana velleità di avvenimenti tinteggianti da pennellate cangianti e talora fosche al pari della “polvere” e il secondo dopoguerra  che  traumatizzò i bambini e i giovani del secolo scorso. La malinconia risiede nei versi di questa silloge fregiando con un piacevole tepore questo capolavoro letterario in cui nello sfondo di questa empirea universalità ritroviamo scolpiti gli affetti più cari come la solerte e apprensiva madre e l’eterna gioia raggiunta dal padre. L’afflato sussurra  il train d’union fra gli  istanti del presente e i momenti esperiti  che sono cornice del  suggestivo  passato cosicché dopo la frattura dualistica fra la memoria e la speranza, dovuta ad alcuni ricordi che potrebbero ottundere l’anima umana, vi è un punto di incontro, ossia  una pietra angolare rappresentata dalla fede che fanno attraccare  Teresina Giuliana Pavan a una nuova oasi d’armonia.  Dopo una spasmodica ricerca di significato indagata  fra i meandri più reconditi dell’Io  si districano grovigli esistenziali  attraverso i   frequenti Daimon paesaggistici di questa fatica letteraria che  travalica, perfino, i limiti o  le distanze generazionali. 
Sabrina Santamaria
 

"Ad ogni ora"(Genesi Editrice) di Silvia Marzano

Autore: Silvia Marzano
Titolo: Ad ogni ora
Casa editrice: Genesi Editrice

(Recensione edita nel Bimestrale di arte e letteratura Le Muse-Direttrice Maria Teresa Liuzzo-Vicedirettore Davide Borruto)

(a cura di Sabrina Santamaria)

 
 
La poesia, come Essere Sommo, potrà mai raggiungere il punto infinitesimale della bellezza? Ci poniamo, spesso, questo interrogativo ogni qual volta ci accostiamo ai versi di chi carpisce l’Universale nel particolare; la nostra autrice Silvia Marzano si impegna a scovare meticolosamente quel viottolo smarrito, quell’essenza vitale  divina che i nostri occhi miopi, per varie motivazioni, rischiano di obliare eternamente. La poesia non è, semplicemente, un fonema che diventa grafema con un significato connotativo, ogni testo poetico è una sinfonia decantata dal cuore del poeta con solennità, infatti è un afflato che ammalia e si ammanta di Eternità. “Ad ogni ora”(Genesi editrice) è un flatus vocis che allieta l’animo turbato e rievoca i ricordi di una mente pensante, è un monito della nostra poetessa a ripercorrere quei “sempiterni calli” leopardiani senza i quali il nostro sguardo  sembra reificato e reificante, quindi in ogni momento, in ogni istante della sua vita l’uomo dovrebbe tornare all’archè,  cioè a se stesso e alla maestosità intrinseca del vivere. In guisa di questa analisi poetica Silvia Marzano dona un alito vitale ai suoi scritti che divengono pregnanti di un’umanità  vissuta, satura  di emozioni e le sue opere trasmutano le banali regole generative della grammatica sfiorando le punte di un’estasi elegiaca e pleonastica. La nostra poetessa accorda note di liuto dalla sostanza eterea in questa ottica i suoi versi si abbracciano alla sua autenticità che afferra i palpiti esistenziali della sua  ferrea volontà    che non rinuncia alla genuinità del vivere. “Ad ogni ora” è una raccolta poetica dedicata al tempo che scorre inesorabile, quel Kronos  che marca la caducità dell’essere umano e sfugge al suo controllo; l’autrice, per certi aspetti, rimpiange il tempo perduto dunque  la sua infanzia e giovinezza, ma, d’altro canto, diviene un’alleata della sua linea spazio temporale decantandola come una risorsa e una ricchezza spirituale, quindi nelle sue espressioni il tempo è l’alterità primigenia con la quale Silvia Marzano si confronta e dialoga, al pari di una relazione buberiana Io-Tu, direi quasi un’arresa nelle mani paterne di un’Alterità, non intesa come estranea a noi, ma essa è quella millesima monade di noi stessi che rifiutiamo: “C’è ancora il vecchio glicine sulle arcate del pergolato ombroso e le fiorite generose ortensie. Labirintici tratti, illeggibili della siepe di mirto sono rimasti e tracce dell’aiuola dove mormorava la fontana. Si dondolano ora i bimbi sulle altalene. Antico e nuovo in un canto continuo.”(Casa Dassano, pag 67). Forse perché ci riconduce a un’intimità che noi vogliamo a tutti i costi denigrare? Quel conflitto interiore che l’uomo ha maturato nei secoli, cresciuto spasmodicamente insieme alla sua malvagità e al suo orgoglio, la riscoperta dell’antico della nostra scrittrice   non è un mero ricordo del passato in sé e per sé, bensì trattasi di un’unione fenomenologica tra la ratio e  i sentimenti umani all’apice di un’epochè husserliana: “Tenero è rispuntato l’elleboro di bosco che si credeva perduto. Forse ha ascoltato le mie parole intense, il rimpianto, e verdi piccole foglie timide sparse sono nate sulla terra bruna, dicono speranze di futuro ancora.” (Tenero è rispuntato, pag 33). Candidi amplessi carezzano l’anima del lettore, il quale travagliato dalla post-modernità, si appresta a deliziare il suo attimo mediante una raccolta poetica avulsa dalla retorica comune e dal logicismo imperante che calza a pennello nella odierna società che propone falsi miti e l’opulenza economica. “Ad ogni ora”(in ogni attimo della nostra vita) possiamo congedarci dall’immanenza e trascendere a una sfera sovrumana fra i meandri più reconditi del sublime. 
Sabrina Santamaria
 

Presentazione: "Perle di luna" di Patrizia Somma

Autore: Patrizia Somma
Titolo: Perle di luna
Casa editrice: Armando Siciliano Editore

 

Buongiorno carissimi scrittori, artisti e bookblogger! 
Stamattina con immensa commozione vi segnalo l'immenente pubblicazione della raccolta di liriche "Perle di luna"(Armando Siciliano Editore)  di Patrizia Somma. Questa inedita opera letteraria verrà presentata il 14 Marzo alle ore 11:15-12:15  presso l'Agriturismo "Il Sole e il Sale" a Capomulini(Acireale). Avrò l'onore di essere relatrice di questo evento letterario in cui interverranno Giusy Mintendi, l'autrice e l'Editore Armando Siciliano. Vi invito a segnare anche questa raccolta di poesia fra i vostri prossimi libri da leggere in quanto è sensazionale. 

"Bianco antico"(Aletti editore) di Francesca d'Errico

Autore: Francesca d'Errico
Titolo: Bianco antico
Casa editrice: Aletti Editore

(Recensione edita nel Bimestrale "Le Muse"-Ottobre 2020: Direttrice Maria Teresa Liuzzo, Vicedirettore Davide Borruto)

“Bianco antico”(Aletti Editore) di Francesca d’Errico

(a cura di Sabrina Santamaria)
Assaporare il retrogusto antico e antichizzato di un mare pescoso di ricordi ci fa percepire un po’ di sana nostalgia congiunta all’amore spassionato per gli anni trascorsi ove l’information over load non esisteva e ogni utente traeva la propria conoscenza dalla carta stampata, il web ancora era solo rudimentale; essere ricondotti da una raccolta poetica in questo mantra del “chiare freschi e dolci acque” è maggiormente coinvolgente e rilassante, “Bianco antico” evoca delicatamente questa rivalorizzazione di un’epoca che le nuove generazioni potrebbero etichettarla  obsoleta, superata o poco all’avanguardia. L’autrice Francesca d’Errico vuol far riscoprire ai lettori la genuinità del secolo scorso, io oserei asserire, ci rimembra la purezza di un tempo trascorso. Le poesie racchiuse in questa silloge trasmettono quiete, un senso di pace e, soprattutto di armonia con il tempo, negli anni del secolo scorso, scandito da una linea cronologica con un andamento lineare e distensivo caratterizzato dai punti di forza dell’epoca moderna e non postmoderna, come quella di oggi, che ci infligge standard di vita elevati e alla perenne incertezza esistenziale, economica e sentimentale infatti lo studioso Bauman, per primo, ha coniato la dicotomia fra mondo moderno caratterizzato dalla solidità e il mondo postmoderno di per sé liquido e incerto; la nostra poetessa, seppur velatamente, smaschera questo senso di precarietà divenuta, inconsapevolmente, una  zavorra per l’uomo del secondo millennio. Questa raccolta poetica è breve di brossura, ma è profondamente ricca di contenuti e significati, fra l’altro Francesca d’Errico, con il suo animo da poetessa, si avvale di figure retoriche come l’iperbole e la metafora: “Svolto ed imbocco una magica sintassi fra sentieri di pietrisco. Accarezzo l’aria con illogica andatura delle gote in fiamme. Incustodita commozione di anonimo ristoro emancipato dall’inchiostro.”( Magica sintassi, pag 11). Oltre a ripercorrere i sentieri antichi, la nostra scrittrice scandaglia l’habitus nei meandri più oscuri della sua mente e non cela bensì, a volte, mette a nudo il suo stato d’animo, che a volte sembra un mare agitato a volte, invece, un oceano limpido in cui ci si può tuffare, basta avere un pizzico di fiducia nella recondita umanità che risiede in “Bianco antico”.  Ogni sensazione di Francesca d’Errico  è  confrontata con  paesaggi eterogenei e componenti di essi tanto è vero che in questa opera letteraria si annoverano titoli poetici “Coppa di marea”, “Rivoli d’acqua”, “Selvatiche fogge”, “Valle di genziane”, “Conchiglie”, “La scogliera”, “La medusa” e “La ginestra”.  Nel libro traspare l’idea della limpidezza, della chiarezza anche perché l’autrice è genuina nelle sue espressioni, la sincerità alberga nei versi poetici di colei che non  si nasconde dietro falsi schemi eruditi che comprimono e ghettizzano la poesia stessa, questa  è  un’altra ragione del titolo “Bianco antico”, il bianco è il colore della chiarezza e della luminosità quindi l’autrice scuote la polvere depositata nello scrigno dei suoi ricordi e decide di farli luccicare e brillare in una silloge dai toni soavi e sublimi. La cupidigia dei tempi attuali non ha divorato le pietre preziose dell’antichità(ricordi, stati d’animo, sensazioni, emozioni)  che, come un tesoro, sono state ritrovate dopo decenni; senza memoria non possiamo vivere il nostro presente e nemmeno proiettare il nostro futuro dunque il passato è un patrimonio(antico, giammai vecchio) inestimabile dell’uomo contemporaneo, che costituisce l’acme e lo zoccolo duro di questa fatica letteraria sarà annoverata tra i capolavori della letteratura italiana di tutti i tempi.                          
Sabrina Santamaria 
 

 

"Le sette parole di Maria"(I.R.I.S edizioni) di Francesco Terrone

Autore: Francesco Terrone
Titolo: Le sette parole di Maria
Casa editrice: I.R.I.S. Edizioni

(Recensione edita nel Bimestrale "Le Muse"-Ottobre 2020: Direttrice Maria Teresa Liuzzo, Vicedirettore Davide Borruto)

Le sette parole di Maria di Francesco Terrone

(a cura di Sabrina Santamaria)
Versi che bramano un amore autentico  dai  segreti anfratti  dell’infinito  non sono consuetudine di chi scrive, l’incommensurabile è meta degli eletti che si abbandonano alle loro elegiache o prosastiche elucubrazioni. Le pagine della letteratura contemporanea sono stracolme di espressioni ripetute, consuete e stereotipate, le poesie, spesso, sono carenti di sentimenti ed emozioni e i lettori rimangono con un senso di vuoto anche, subito dopo, essersi accostati. Il poeta Francesco Terrone cerca di scrivere testi carichi di contenuti e valori; egli si spinge ben oltre il mondo sensibile e la carnalità infatti l’ottundimento morale generato dal peso del nostro Io e del nostro corpo dovrebbe, quanto meno, trovare ostacoli, ma, in tantissime circostanze, l’immoralità pullula fra gli esseri umani. Il nostro autore, per certi versi, mediante la storia di Maria si discosta mentalmente dalle cattiverie di questo mondo, d’altro canto, però la magnificenza della beatitudine della Vergine potrebbe essere un mezzo di redenzione per l’umanità sempre più corrotta, d’altronde Maria è la prescelta da Dio perché è una donna pura, umile, mansueta e ubbidiente; le virtù di Maria madre di Gesù, sono l’esempio per antonomasia, soprattutto perché dimostrano che Dio Padre nei suoi infallibili disegni sceglie sempre uomini retti, mai stolti. Nella silloge “Le sette parole di Maria” il poeta tesse i suoi versi improntandoli sul miracolo più potente di tutti, ovvero quello della salvezza eterna dell’uomo attraverso la Crocifissione del Cristo, è come se l’autore raccontasse la grandezza del verbo che si è fatto carne come un sogno o una visione e il nostro allieta, così, i cuori dei lettori i quali, spesso, sono facili prede della morsa lacerante della frivolezza e pochezza di idee. Maria è protagonista della silloge tuttavia nell’ordito della trama ella non è la “Santa Vergine immacolata”, Terrone non la definisce neanche “Madre” bensì “mamma” dandole un epiteto che le conferisce un appellativo di donna quindi  l’imprescindibile umanità di Maria non viene trascurata o messa in secondo piano; questa scelta comporta una presa di responsabilità non solo da parte dell’autore, ma, innanzitutto, dei lettori, giacché l’umanità di Maria dovrebbe farci riflettere che in quanto donna era sottoposta alle nostre stesse passioni dunque, alla sua  stessa stregua, noi potremmo anelare alla purezza. Il titolo riprende la numerologia dantesca, noi sappiamo che il tre è il numero della trinità, è rappresenta la santità e Dante più volte nei suoi sonetti o nella Divina Commedia infatti il numero nove, in quanto multiplo del tre, è presente in molti elaborati danteschi; nel caso del nostro poeta il sette è l’aggettivo numerale cardinale che esemplifica al meglio gli attributi di Maria, come le virtù umane, tre sono teologali e quattro cardinali, tanto è vero che Terrone coglie i momenti esatti racchiusi nel Nuovo Testamento in cui Ella ha saputo dimostrare le sue virtù pronunciando delle frasi accorate e ripiene di ardore per l’opera di Dio e per il Suo progetto di salvezza. La trascendenza di Francesco Terrone è tangibile, il poeta è come un vaso che prende forma grazie al vasaio, egli desidera essere argilla affinché sia modellato dal Padre Eterno; egli non vuole affatto perdere la Fede in Cristo, unica ragione che, ancora, lo rende vivo e libero, in numerose poesie prevale in modo copioso il dolore, la sofferenza non solo personale, il suo pathos emotivo si frantuma in impercettibili frammenti, il poeta  è consapevole dell’enorme sfracello morale in cui l’uomo si sta imbattendo senza una via di fuga lontano da ogni barlume di pentimento la creatura umana non si convince di peccato e appare sempre più disinteressata all’amore divino mentre la corruzione avanza e l'uomo non accettando la sua miserabile condizione  non  si umilia al Redentore implorando il Suo perdono. Di fronte a questa umanità debole e dall’animo pusillanime la poetica di Francesco Terrone si erge come un grido possente, una luce che si scaglia contro le tenebre. In questa  notte disadorna di stelle al candore di una solitaria luna l’uomo può riscoprire i valori più autentici del vivere?  Chi insegnerà l’amore? Lo dimostrò Gesù Cristo in croce e lo strazio lacerato e lacerante del nostro poeta non ne è immemore. 
Sabrina Santamaria
 

"Angeli senz'ali" (A.G.A.R Editrice) di Delma Cigarini

Autore: Delma Cigarini
Titolo: Angeli senz'ali
Casa editrice: A.G.A.R Editrice

(recensione edita nel Bimestrale "Le Muse": Direttrice Maria Teresa Liuzzo, Vicedirettore Davide Borruto)

Migliore Opera Internazionale "Le Muse" Aprile 2020

 

(a cura di Sabrina Santamaria)
Un moto ascensionale si erge nelle note di un flauto accompagnato da una voce soave origliata  da coloro i quali si accostano alla raccolta poetica “Angeli senz’ali”  di Delma Cigarini, opera  letteraria dai testi  melodiosi che nessun essere umano mai  ha suonato nella storia; ogni strofa  esala un profumo dall’essenza divina poiché la nostra poetessa trascende l’umanità che, a volte, diventa becera. La dimensione che alberga in queste poesie scardina l’idea spazio-temporale. Delma Cigarini sfiora l’eternità, cerca di abbracciarla, di afferrarla, anche se il pensiero profondo dell’Eterno appare difficile da comprendere a pieno, la nostra autrice prova, tenta e ritenta di accarezzare l’infinito con la punta di un sol dito dunque delicatamente lo sfiora: “Dammi Signore la forza di pregare per l’uomo che dolente nell’intimo dell’anima, in silenzio implora a squarciagola.”(Sognare è utile, pag 20). La ricerca dei supremi valori umani impera e divien signora in questa silloge in cui ogni poesia decanta afflati melodiosi che si elevano alle preghiere di arcangeli e cherubini. L’anelito dell’amore fa breccia nell’animo dei lettori, ci discostiamo molto dai canoni dell’amore carnale e passionale giacché Delma Cigarini sale un gradino nella scala delle passioni umane, la sua poetica parte dalle virtù dianoetiche per adempiere verso dopo verso alle supreme virtù noetiche di platonica memoria. L’amore platonico, disinteressato al mero godimento carnale sfugge al verseggiare della nostra poetessa: “Vorrei averti e col viso fra le mani sussurrarti tutte le albe e la dolcezza che mi ispiri. Squillante un sospiro irradi a me devoto, mentre tremante il cuore Tuo mi svela  i suoi segreti.”(Costante Sale, pag 23). L’anelito poetico di “Angeli senz’ali” si identifica pienamente con la purezza e la freschezza di una vita limpida e chiara, un’esistenza che non intende scendere a sporchi compromessi o a  fantomatici giochi d’azzardo tanto è vero che Delma Cigarini solletica l’idea di un Essere Supremo al quale l’uomo dovrebbe essere devoto e riconoscente per il miracolo di Cristo. L’essere umano ha ancora delle speranze, sicuramente la fede in Dio può salvarlo dai mali sulla terra. Il titolo della silloge “Angeli senz’ali” racchiude molteplici significati: le ali sono simbolo di speranza quindi l’uomo contemporaneo forse ha perso le speranze compresa quella  nella vita eterna, fra l’altro l’animo umano è anche  sostanza  spirituale e non solo corporea però ogni essere umano potrebbe metaforicamente  possedere delle ali nel momento in cui, col cuore affrancato e libero di  “putridi” risentimenti e vendette,  riesce a sorvolare e a perdonare la malvagità, la cattiveria e i torti subiti pur essendo spoglio d’ali egli potrebbe avere la facoltà di volare al di sopra delle miserie di un Io che si erge irragionevolmente con supremazia. Lo spirito costituisce la nostra essenza più intima, è la sfida quotidiana che ognuno deve affrontare per andare contro le proprie concupiscenze e le proprie trasgressioni dunque oltre la corruttibilità l’autrice intravede un barlume di trascendenza alla quale l’uomo potenzialmente potrebbe aspirare, in fondo oltre la sua imprescindibile fallacia l’umano è un angelo e riscoprire la sua intima natura è l’unica possibilità di salvezza: “Venne la Tua mano a cercare la mia lasciando su di me una brezza marzolina e sotto il sole nel chiaror dell’alba pullular di gemme. Quando in Te scavo e l’anima io trovo aromi raccolgo e come nettare di spighe e uva beata mi rabbocco.”(Campo Aperto, pag 31). La nostra poetessa pone il suo sguardo attento  all’eternità, al sublime, alle lodi e agli Inni solenni, ella decanta l’albeggiare di poesie dal leit motiv  di versi puri, mediante i quali  il lettore giunge a una sponda  paradisiaca di  gigli e rose bianche dove egli riscopre il significato ultimo e intimo del suo esistere. 
Sabrina Santamaria
 

"Ponte poetico / Most poetycki" (Kimerik Edizioni 2020)

Nota introduttiva a cura di Izabella Teresa kostka

Durante i miei incontri culturali ho sempre dedicato tanta attenzione al pacifico intreccio reciproco di molte tendenze letterarie, musicali, canori e teatrali. Il programma "Verseggiando sotto gli astri di Milano" riserva da sempre molta attenzione al movimento letterario chiamato "Realismo Terminale", ideato e creato in Italia dal poeta Guido Oldani, con il prezioso e insostituibile contributo del Prof. Giuseppe Langella.

            L'antologia "Ponte poetico / Most poetycki" è la realizzazione del sogno personale di unire le mie due "Patrie" sotto un comune denominatore letterario, per diffondere la tanto pregiata ma un po' dimenticata "ars poetica". Sono profondamente commossa e contenta dal fatto, che questo progetto sia stato accolto con immenso entusiasmo e che il gruppo di poeti pubblicati in questo volume includa le celebrità del Realismo Terminale, ovvero gli Ospiti d'Onore come il M°Guido Oldani e il Prof. Giuseppe Langella, molti poeti italiani appartenenti alla soprannominata corrente, diverse individualità poetiche italiane di altre tendenze stilistiche e molti scrittori polacchi contemporanei residenti in Polonia e all'estero.(...)
 
Izabella Teresa kostka
Izabella Teresa kostka

Estratto dalla  Prefazione a cura del Prof Giuseppe Langella

PONTI, NON MURI

"Ponte poetico" può essere letto, perciò, come una testimonianza culturale non priva di risvolti politici. Non si possono non sottolineare, infatti, le implicazioni civili di un’opera che avvicina, che invita all’incontro, che crea i presupposti per un tessuto di relazioni amichevoli e feconde. Peraltro, una simile testimonianza diventa tanto più significativa sullo sfondo di un’Europa che fatica ad arginare la marea montante dei seminatori di odio e di paura, propensi piuttosto a innalzare muri e a distendere fili spinati. In questo senso, "Ponte poetico" è anche un modo per sottrarsi alla tentazione antistorica del sovranismo, alla peste nera del totalitarismo e alla barbarie antiumanistica del razzismo, che hanno generato, nel secolo scorso, guerre spaventose e catastrofi inaudite. Se non hanno perso del tutto la memoria, italiani e polacchi dovrebbero avere orrore di ogni rigurgito xenofobo e di ogni attentato alla libertà.(...)

Ponte Poetico(casa editrice Kimerik)
 "Ponte poetico/ Most poetycki"(casa editrice Kimerik)

Il Realismo Terminale (corrente culturale creata dal Maestro Guido Oldani)

Il Realismo Terminale vuole essere l’intelligenza del caos in cui opera, il nuovo modo di dire il mondo. Ogni elemento della natura, a partire dall’uomo, è serrato nella tenaglia degli oggetti, di cui subisce il tatuaggio, l’impronta. Così, sempre di più, la natura viene ad assomigliare ai manufatti, con un dizionario che non avrà mai fine. Il corpo a corpo e l’attrito sono le nuove regole del gioco. Si può avviare una nuova dicibilità. La figura retorica, che ho denominato è la similitudine rovesciata. Come sappiamo esiste solo ciò che si denomina. Rispetto al passato, questo strumento vuole proporsi come confronto deliberato fra natura ed oggetti. Se la natura posso ridirla daccapo, attraverso continui e nuovi confronti con gli artefatti, una nuova lingua ci assiste nel nuovo millennio. È nei bambini che si può facilmente accertare lo spostamento in atto del linguaggio. (...)

Cit "Ponte poetico-Most poetycki" nota del Maestro Guido Oldani

Disponibile nei seguenti storie online: 

Mondadori

 
 
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• Libraccio
 
 
• Casa editrice Kimerik
 
 

Lo spirito indomabile di un poeta: "Parole sporche" di Domenico Garofalo

Molti critici letterari sono concordi nell’affermare che la poesia sia il sospiro dell’essere umano e, allo stesso tempo,  un genere letterario sublime che non si apre alla possibilità di un linguaggio popolare o a sproloqui di varia natura. La poiesi la identifichiamo immortalandola in una  creazione scevra da istinti e pulsioni umane, la percepiamo come il frutto aulico dell’anima nostra tanto è vero che  tantissimi autori si adoperano a correggere i refusi nei loro elaborati e così facendo ne eliminano le “scorie”.

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